Si è aperto il Consiglio Nazionale del Pri/La relazione introduttiva del Segretario Francesco Nucara

Protagonisti della liberaldemocrazia europea

Cari Amici, in trenta giorni il mondo politico italiano è stato stravolto dall’esplosione di una crisi economica non meno che da una crisi istituzionale.

Avevamo intuito quanto stava succedendo, tanto che nell’editoriale de "La Voce Repubblicana" del 3 novembre avevamo scritto di affidarci alla "voce" di Mario Monti per dare forza alle proposte repubblicane.

Circa una settimana dopo il Presidente della Repubblica affidava a Monti l’incarico di formare un nuovo governo.

Abbiamo votato convintamente la fiducia al nuovo governo e siamo altrettanto convinti che la scelta del Presidente Napolitano sia stata una scelta giusta per il Paese.

Meno convinti siamo stati in seguito agli eventi successivi: dalla formazione della squadra di governo e dall’impostazione della manovra e dello svolgersi delle consultazioni e degli incontri con le parti sociali, che non possono essere considerate forze residuali da ricevere nei ritagli di tempo libero.

I sindacati non sempre hanno ragione, spesso per la verità difendono lo status quo, senza pensare a chi sta fuori dalla cittadella, ma comunque rappresentano segmenti di società che nessuno può trascurare: tantomeno un governo tecnico.

L’aggregazione politica che sostiene l’attuale governo è frutto di un puro pasticcio istituzionale. Per la prima volta nel nostro Paese di fatto l’opposizione non esiste.

La Lega si colloca all’opposizione più per fatti localistici che per concezioni politiche nazionali.

La prima domanda che mi rivolgo è la seguente: un governo tecnico è in grado di risolvere i problemi dell’Italia? I problemi italiani sono di finanza ed economia ma soprattutto politici. L’ipotesi di governi tecnici avanzata qualche anno fa da Bruno Visentini non ebbe fortuna nel nostro partito ma nemmeno fuori di esso: a sostenerlo furono Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti. Nemmeno loro furono fortunati.

Ripropongo la domanda a me stesso in termini più puntuali: può un governo tecnico affrontare problemi politici che quotidianamente sorgono nella costruzione dell’Europa? E può un governo tecnico assumere decisioni importanti guardando, come ha fatto qualche partner europeo, oltre l’Atlantico senza sottostare al pan-germanismo attuale?

Il governo dei tecnici riuscirà a fare ciò che Ugo La Malfa fece nell’immediato dopoguerra (1949), quando decise di intraprendere rapporti commerciali con l’Unione Sovietica, superando con grande difficoltà gli iniziali veti degli Stati Uniti, che in un primo momento minacciavano, se la tesi di La Malfa fosse andata avanti, di bloccare gli aiuti del piano Marshall? La Malfa e Sforza, sostenuti anche da Cesare Merzagora, convinsero gli Stati Uniti della necessità di intraprendere rapporti commerciali con l’Unione Sovietica, tanto che Ugo La Malfa poté dire ai delegati del PRI dell’Emilia Romagna: "Bisognava trovare un qualcosa per togliere questo intoppo che avvelenava i rapporti con la Russia. […] la Russia è una grandissima potenza e per la ricostruzione pacifica di questa Italia era giusto risolvere i nostri problemi con spirito di serenità e senza pregiudizi".

Cari Amici Repubblicani, mettiamoci bene in mente quest’ultima frase affinché sia da guida al nostro dibattito odierno, ma che sia anche stella polare per il nostro futuro: "Era giusto risolvere i nostri problemi con spirito di serenità e senza pregiudizi".

Come nasce questo governo? A mio avviso sulla base di un’intesa Napolitano-Berlusconi. E’ chiaro che Berlusconi ha voluto lasciare e va dato atto a Giorgio Napolitano della forte carica dallo stesso utilizzata per un’efficace moral suasion.

Berlusconi aveva la maggioranza in Parlamento, e se si poteva dubitare di quella della Camera dei Deputati, aveva sicuramente quella al Senato. E’ stata oltraggiosa, quindi, la manifestazione di giubilo sotto il Quirinale da parte di gentaglia politica. Berlusconi avrà fatto mille errori personali e politici, ma non era certamente Gheddafi. Bisogna prendere atto che ci sono stati vincitori politici come Napolitano, passivi come Berlusconi e vincitori concreti come Casini.

Ma ci sono davvero dei vincitori? La storia ci insegna che bisogna essere molto cauti su questo argomento. Ci ritorna in mente la ferma posizione di Giorgio Amendola, a proposito di vincitori e vinti, apparsa su "Rinascita" del 4 agosto 1976: "Anche i vinti recano il loro contributo alla cultura e alla storia di un Paese, a volte anche importante, ma certo non si può ignorare il peso esercitato dalle forze riuscite vittoriose".

Peccato per Amendola che la storia abbia ribaltato completamente questi suoi concetti. Le forze "uscite vittoriose" hanno affossato l’Italia con l’incentivazione al "parassitismo, al corporativismo, alle ingiustizie sociali, agli sprechi settoriali e pseudo-sociali". Le forze "uscite vittoriose" hanno dilatato il debito pubblico, portato la spesa pubblica a livelli insostenibili fino ad una inflazione del 20% a inizio anni ‘80. Forse è meglio essere vinti. I repubblicani può darsi che lo siano stati in certi momenti della loro storia ma poi come un fiume carsico sono riapparsi sulla scena politica divenendone protagonisti.

E’ inutile nascondersi dietro un dito, come ho dichiarato alla stampa: il governo nella sua struttura è un governo Monti-Casini, o viceversa, prendetela come volete.

La "democristianeria" di Casini emerge nella sua interezza quando afferma coram populo che bisogna lasciar lavorare in pace Mario Monti e che i partiti devono fare un passo indietro. Tutti i partiti meno il suo, che ha indicato e ottenuto almeno tre ministri e altrettanti sottosegretari.

Come scrive Macaluso su "Il Riformista", anche per Casini, però, la "politica dei due forni" di craxiana memoria sta per finire.

Quale sarà lo scenario politico che ci si prospetterà a primavera 2012 o primavera 2013? Il caos totale è assicurato, non ci sarà dissolvenza dei partiti ma dissolvimento certo, con l’art.49 della Costituzione, a mio avviso già abolito, ma la cui morte sarà certificata alla fine di questa legislatura.

Noi però come sempre non ci scoraggiamo e facciamo nostro l’assunto di Carlo Cattaneo: "Sembrava quasi che l’abbandonare vilmente la guerra poco importasse. Chi doveva volere non voleva. Ora il primo principio di forza nelle cose umane è la volontà, e non il numero degli uomini che da quella volontà dipende". Chi saranno i nostri alleati di domani? Le forza politiche che sostengono il governo? Mi sembra una boutade più che un’ipotesi. Le forze politiche che lacere e contuse resteranno in campo saranno il PD, il PDL, la Lega, IDV e se il cantiere avrà concluso i suoi lavori l’informe aggregazione conosciuta come Terzo Polo.

Già nel 1954 Salvemini polemizzava con i repubblicani, sostenendo che l’elettore avrebbe trovato più facilmente riparo sotto "l’ombrellone di De Gasperi che sotto l’ombrellino di Pacciardi".

Di fatto Salvemini indicava una unione laica dei partiti liberale, socialdemocratico e repubblicano. Ugo La Malfa rispose così: "Il compito di chi guarda alla democrazia come problema angoscioso della vita italiana, è di non perdere le sementi democratiche e socialiste risorgimentali e post-risorgimentali che ancora esistono e di costruire su di esse il partito di una più civile e moderna Italia". Sono queste ultime cinque parole che ci interessano di più. Abbiamo l’ambizione di mettere mano alla costituzione di una "più civile e moderna Italia": l’Italia della liberaldemocrazia.

E dobbiamo essere protagonisti nell’ELDR.

Quando Ugo La Malfa decise di aderire a questa federazione europea ebbe qualche perplessità nel mescolarsi con i liberali di Malagodi.

Egli però ebbe assicurazioni e sollecitazioni, soprattutto da parte inglese, ad aderirvi perché avrebbe rappresentato l’anima della sinistra in una compagnia di conservatori.

Noi vogliamo ritornare nell’ELDR per rappresentare l’ala democratica in un’aggregazione in cui la presenza del partito di Di Pietro porta a snaturare i principi liberali europei.

L’Italia che non si porta appresso il fardello del comunismo e del fascismo o del clericalismo: l’Italia moderna che possa competere culturalmente, civilmente, economicamente con i paesi più avanzati del mondo. Un’Italia che non vuole dettare agende agli altri Paesi ma che, orgogliosa della sua storia, non intende farsi dettare l’agenda da Merkel e Sarkozy. Vogliamo un’Italia in cui i cattolici abbiano il rispetto più assoluto. Rispetto che non vogliamo estendere ai clericali.

Dei cattolici veri, quelli alla De Gasperi, tanto per intenderci, possiamo essere leali e collaborativi alleati. Loro però ci devono dire se condividono quanto sosteneva De Gasperi: "Il credente agisce come cittadino nello spirito e nella lettera della Costituzione e impegna se stesso, la sua categoria, la sua classe, il suo partito, non la sua chiesa". Qualcuno lo andasse a dire alla Binetti, a Carra, a Fioroni ecc.

Liberaldemocratici e fino in fondo. Salvo problemi oggi non prevedibili, entro fine marzo organizzerò insieme ad altri partiti o associazioni o intellettuali non meglio classificati una convention per "La Costituente Liberaldemocratica".

Gli iscritti e i dirigenti repubblicani a tutti i livelli diano per intero il loro contributo, le diatribe o meglio le diversità di vedute di oggi, potranno ricomporsi e non esistere più domani, ma avremo perso del tempo utile per organizzare un progetto che in questa transizione infinita della democrazia italiana può essere utile al nostro Paese.

Abbiamo tracciato lo scenario politico che probabilmente ci aspetta da qui alla fine della legislatura.

Parliamo ora dell’attività di governo. Con tutti i distinguo del caso, poiché è passato appena un mese da quando il governo in carica ha ottenuto la fiducia del Parlamento.

La fretta è stata cattiva consigliera. Senza voler minimamente sminuire quanto strategicamente è stato individuato nella manovra, non possiamo non sottolineare alcune sbavature che in qualche caso possono sembrare delle vere e proprie gaffes e in tal’altro degli errori d’impostazione.

Elenchiamole e se lo desidererete le approfondiremo nel corso del dibattito.

a. Sul pagamento dell’ICI, oggi IMU, da parte della Chiesa è vietato al Presidente del Consiglio dire "non ci abbiamo pensato". Se così fosse sarebbe sufficiente un emendamento del Governo per porre riparo all’amnesia.

b. Abbiamo plaudito all’abolizione di fatto delle province e apprezzato quanto Monti ha sostenuto quando afferma che per la loro abolizione formale è necessaria una legge costituzionale, che comunque il Governo avrebbe incoraggiato. Qualche giorno dopo marcia indietro. Tutto rinviato.

c. Avevamo sperato in liberalizzazioni vere. Il Governo si è limitato a liberalizzare solo l’orario di apertura e chiusura dei negozi. Ci sembra un po’ poco. Nulla è detto sui disastri che sulla finanza pubblica hanno determinato le cosiddette società miste, che con la scusa di lavori in house aggirano le gare d’appalto. Meno di nulla sugli Ordini professionali.

d. Qualche perplessità suscitano pure le norme relative all’ulteriore tassazione dei capitali già scudati. Perplessità sollevate anche dal presidente della Corte dei Conti.

e. Non è per niente chiaro il disegno di infrastrutturazione del Paese. E’ certo che il deficit di infrastrutture riguarda soprattutto il Mezzogiorno d’Italia. Se però il ministro Passera pensa di realizzare le infrastrutture nel sud del Paese con i project-financing, avrà amare delusioni e i meridionali ne avranno più di lui. Non si realizzano progetti di finanza dove non si ricavano profitti. E abbiamo esperienza sufficiente per non illuderci sulle continue o perpetue delibere del CIPE riguardanti le infrastrutture meridionali.

f. Ci sembra affrettata e poco puntuale la liberalizzazione sui farmaci di fascia C. Ci saranno pure gli effetti positivi, ma manca un’analisi di quanto potrà ricadere negativamente sul servizio. Anche in questo caso una piccola marcia indietro, nei centri con numero di abitanti inferiori ai 12.500 le parafarmacie non si possono aprire. Pare evidente che nei grandi centri, dove plausibilmente i supermercati ci sono, le parafarmacie potranno avere, tra una vendita di carne e una di sottaceti, anche la possibilità di vendere medicine. Mi pare un bel regalo a chi gestisce supermercati, COOP comprese. I ringraziamenti all’on. Bersani come possiamo documentare si sprecano e sono sospetti. L’ultima correzione ovviamente ha suscitato il malessere dello stesso Bersani.

Una manovra tutta tasse quindi può essere una manovra che produce equità, rigore e sviluppo? Dobbiamo distinguere due problemi: le tasse portano recessione e ne parleremo tra poco ma è opportuno dire anche, ammesso che si possa dire, che le tasse imposte dall’attuale Governo sono tasse "migliori", mirate cioè a colpire alcune fasce e alcune rendite. Non abbiamo le tasse indistinte figlie dei tagli lineari: fatti salvi gli aumenti delle accise e dell’IVA. Andremo tuttavia verso la recessione. Secondo il Governatore delle Banca d’Italia: "Le misure di bilancio contenute nel decreto hanno effetti restrittivi sul PIL stimabili in mezzo punto percentuale nel prossimo biennio". Però continua il Governatore: "L’impatto potrebbe essere in larga parte compensato se il calo di rendimento sui nostri titoli decennali osservato nei giorni immediatamente successivi all’emanazione del decreto si confermasse e si estendesse all’intero arco della curva per scadenza". La credibilità della manovra e di chi la gestisce potrebbe avere un valore intrinseco tale da compensare la negatività della diffusa tassazione, accompagnata purtroppo anche dall’aumento della spesa pubblica.

Per adesso tutto appare fragile su borsa e spread, come o peggio, sotto questo profilo, del precedente Governo.

Naturalmente se analizziamo la relazione del Presidente della Corte dei Conti alle Commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato, non possiamo che rimanere colpiti quando si legge: "Prendendo a riferimento il 2013 – l’anno del pareggio – la manovra lorda risulta pari a circa 30 miliardi, per poco meno del 70% riferibile a maggiori entrate e, per il resto, al contenimento della spesa". Avremmo preferito il contrario. Nella lettera che abbiamo inviato al Presidente del Consiglio abbiamo chiarito quali sono le nostre idee per lo sviluppo del Paese e quel che vorremmo si facesse. Siamo un piccolo partito, ma vale la citazione iniziale di Cattaneo, e intendiamo ragionare con la nostra testa. Non crediamo ai salvatori della Patria e tantomeno ai partiti unici che di fatto, in questa fase, governano il Paese.

Oggi a noi sembra di aver ottenuto gli uni e gli altri con grave nocumento per la democrazia in Italia. Per fattori interni, ma anche per fattori esterni. E’ pur vero che non abbiamo mantenuto gli impegni sottoscritti con i nostri partners europei, ma è altrettanto vero che sotto varie forme non li ha mantenuti nessun paese dell’Unione. Chi per il debito, chi per il deficit. Insomma, nessuno è a posto. Sulla democrazia nei paesi dell’Unione europea però non si scherza. E non può essere certamente Angela Merkel a stabilire quando si deve votare in un paese. E questo, come nel caso della Grecia, sol perché le banche tedesche avevano comprato titoli del debito greco che potevano divenire carta straccia. Non ci è chiaro se dovevamo salvare la Grecia o le banche tedesche!

Ci viene in soccorso quanto scrisse in proposito Ugo La Malfa su La Voce Repubblicana l’8 febbraio 1961: "Ora, in un’Europa costretta a ripiegare dalla brillante e rivoluzionaria concezione iniziale della sovranazionalità a prospettive assai modeste, tutto può far brodo, anche l’Europa delle Patrie (il riferimento è a De Gaulle n.d.s.) purché però, dopo aver inteso per europeismo questa seconda maniera di concepire le cose, non si voglia, barando come al solito al gioco, intendere per europeismo questa seconda maniera di concepire le cose o meglio purché non si voglia considerare come progresso dell’idea europeista quello che è un regresso anche se venga dimostrato che tale regresso verso una concezione più modesta sia l’unica cosa da fare".

Dispiace e molto per l’atteggiamento assunto dall’Inghilterra in questi giorni al vertice di Bruxelles e ricordiamo quando De Gaulle attaccava l’Italia all’inizio della costituzione dell’Europa, perché doveva rompere l’asse Roma-Londra.

Bisogna sperare che il movimento che si è creato nell’opinione pubblica contro le decisioni di Cameron porti quest’ultimo ad un ripensamento. Confidiamo nel liberaldemocratico Clegg, che cercheremo di contattare per saperne di più.

Torniamo a noi e cerchiamo di analizzare il perché si è arrivati a questa marmellata politica che sostiene il Governo. Il bipolarismo, che a nostro avviso non c’è mai stato, ha concluso comunque una sua stagione e se di bipolarismo si parlerà ancora in futuro non sarà nei termini in cui noi lo abbiamo conosciuto in questi anni.

Tuttavia a questo bipolarismo imperfetto, bastardo, antidemocratico e chi più ne ha più ne metta, è seguito il "mucchio selvaggio", dove nessuno pensa di poter disturbare il manovratore, nemmeno se in ipotesi sbagliasse la manovra.

I partiti che Monti consulta continuamente in pubblico e nelle segrete stanze, sono gli stessi che hanno consentito a Berlusconi con la loro politica scellerata di governare in questi ultimi anni. Tra questi partiti c’è anche chi con Berlusconi ha contratto un impegno con atto notarile. In politica si è perso ogni valore, ma se non ci si può fidare nemmeno dei contratti stilati dal notaio, figuriamoci della parola data da una personalità politica che con la politica e con la militanza è cresciuto. Quello che era un valore oggi è un disvalore. Non dovrà esserlo per un repubblicano. So bene che non tutti la pensate come me e infatti sui concetti di lealtà, di onore, del mantenimento degli impegni presi, al Congresso avete trovato modo di contestarmi. Avreste dovuto apprezzarmi almeno per la parte degli impegni presi e mantenuti con i repubblicani. A seguire il loro dire non avrei dovuto mantenere gli impegni presi. Allora la musica sarebbe cambiata. Personalmente e come repubblicano faccio un punto d’onore a mantenere fede alla parola data. Forse per questo vengo accusato di essere lento nel prendere decisioni. Le impostazioni programmatiche dei partiti che compongono il nuovo tripolarismo sono permeate dalla incapacità di guardare ai problemi del Paese in maniera de-ideologizzata, misurando programmi e idee con metodi di azione politica, alla luce delle nuove realtà. Noi abbiamo avuto il coraggio di una revisione profonda delle nostre idee e della metodologia di un nuovo approccio ad esse. Certo un piccolo partito come il nostro si consente il lusso di dividersi in correnti. E’ questo il motivo che rende drammatica la situazione del nostro Partito, che invece avrebbe bisogno di unità specie quando si è impegnati in una battaglia campale per la sopravvivenza e il rilancio dell’idea repubblicana. Pacciardi affermava che nel PRI non esistono maggioranze e minoranze ma discussioni anche accese, che devono portare il partito a decisioni condivise e impegnative per tutti.

La società con i suoi opinionisti, con i media, con la ricca e grassa classe politica, e in questo caso parlo di una sparuta minoranza, è intrisa di demagogia che ci ricorda tanto il pre-fascismo degli anni ‘20.

Si tagliano i rappresentanti istituzionali nei comuni, nelle regioni, nel Parlamento perché così si pensa di diminuire le spese della cosiddetta casta ma contemporaneamente si ammazza la democrazia. Certo se abolissimo i consigli comunali con relative giunte, i consigli regionali e le loro giunte, il Parlamento e il Governo e al loro posto mettessimo podestà, governatori e dittatori, avremmo un bel risparmio di spesa. E chi se ne frega se l’Italia ritorna indietro di un secolo.

Cosa manca ai tripolaristi per essere credibili nel sostegno al Governo, in attesa che a qualcuno si spenga il cerino in mano?

Manca una strategia di fondo. Oggi si limitano a dire: Monti non si tocca. E va bene così! Ma dopo Monti o con Monti qual è la strategia di fondo?

Sembra di essere tornati indietro di un quarantennio quando fu varato il governo Andreotti, meglio ricordato come il governo delle astensioni su un monocolore DC. Allora si pensò alla solidarietà nazionale, perché il terrorismo stava pericolosamente attanagliando il Paese in una morsa mortale per la democrazia. Siamo sicuri che quando tutti i gatti di sera sono grigi, come dice Collura, non ci avviamo verso una china pericolosa?

Oggi veniamo dominati dai fatti che sono ineludibili, gli accadimenti incalzano e siamo costretti ad inseguirli. Noi però vogliamo guardare lontano. Queste forze politiche sono senza ideali. Sono diventate recipienti dove si può mettere tutto e il contrario di tutto, sia sul piano politico che su quello programmatico. Per cui da un lato vediamo la foto di Vasto, e nello stesso recipiente il film di Todi e dall’altro ci ritroveremo con le riprese dell’apertura della campagna elettorale del 2008 in un palco affollato di PDL, postdemocristiani, nuovi socialisti e postfascisti. Tanto per la politica, quanto sul piano programmatico, ognuno ci mette del suo e con la tanto agognata fine dei partiti non c’è più direzione politico-programmatica e i deputati si sentono autorizzati a presentare 1.400 emendamenti su un provvedimento per il quale fin troppo tardi si è posta la fiducia, come per altro avevamo già indicato in sede di discussione della manovra nelle Commissioni di merito.

Come forza politica storica abbiamo il dovere di non essere recipiente e di aborrire lo stare in un recipiente. Nei recipienti, pur di prendere i voti, si recepiscono tutte le esigenze della società, inserendo tutto e il contrario di tutto, motivo per cui il debito pubblico italiano è esploso. Perché partiti e sindacati così hanno voluto con la loro miopia programmatica. I repubblicani sentono il dovere di selezionare le esigenze della società e di fare una scala di priorità rispetto ai problemi che ci troviamo di fronte, compresa la politica di bilancio.

Noi ci dobbiamo battere affinché settore pubblico e settore privato abbiano la stessa efficienza e gli stessi costi, lasciando al cittadino la facoltà di scegliere su alcuni servizi. I repubblicani hanno l’obbligo di indicare una strada che porti all’equilibrio tra consumi individuali e consumi sociali. Pensiamo che sarebbe meglio diminuire i primi e aumentare i secondi. Non possiamo vivere con consumi individuali degni delle società avanzate e consumi sociali da terzo mondo. Se si aumentano i consumi sociali, si aiutano le classi meno abbienti.

Cari amici consiglieri, mettiamoci bene in testa, tutti quanti, nessuno escluso, che noi non siamo una forza residuale del passato ma rappresentiamo le radici che affondano in un passato glorioso, che spesso abbiamo tradito pensando più alla nostra persona che alle nostre idee. E potrei fare infinite citazioni, in proposito, partendo dal Risorgimento per arrivare ai giorni nostri.

Noi assumiamo un impegno morale, prima che politico. Dobbiamo rifuggire da posti di potere quando questi non sono funzionali ai nostri disegni politici, dobbiamo combattere per una civiltà democratica. E’ questo oggi e sempre il compito dei repubblicani (con la R maiuscola).

Ora, vorrei parlare del Partito.

Nell’ultima Direzione Nazionale i tre rappresentanti della minoranza hanno proposto un documento in cui tra l’altro si suggeriva di uscire dalla maggioranza. La delegazione repubblicana, a parte il già citato editoriale del 3 novembre, aveva manifestato il proprio assenso al Governo Monti, sia al Presidente della Repubblica sia all’allora Presidente incaricato. L’analisi logica che abbiamo imparato alle elementari ci porterebbe a desumere, sulla base delle considerazioni della minoranza che avremmo dovuto votare la sfiducia al Governo Monti. La minoranza oggi, in Consiglio nazionale, è pure più numerosa e quindi potrà meglio articolare il proprio pensiero.

Sempre i tre componenti del "Terzo Polo" in Direzione hanno chiesto le dimissioni del Segretario Nazionale. Anche qui mi sfugge la logica. Il segretario è stato eletto con l’astensione della minoranza senza contrapposizione alcuna. Tuttavia non c’è problema, le mie dimissioni sono a disposizione, come ovvio, del Consiglio nazionale. La minoranza, anche se non è inserita all’ordine del giorno proponga un nome, e con l’assenso della maggioranza lo metteremo ai voti. Non abbiamo alcuna remora e non abbiamo alcuna voglia di lottare contro i mulini a vento. Se non avete sufficiente cultura di appartenenza al Partito Repubblicano, abbiate almeno il buon senso di evitare danni ad una storia che pur vi appartiene.

Non siamo residui del passato, ne intendiamo dare alcuno spazio a forze residuali. Come repubblicani ci consideriamo anticipatori dell’avvenire.

Chi vuole pensare all’avvenire collabori e avrà la massima considerazione, chi invece vuole lottare per un ritorno al passato faccia pure, ma non coinvolga l’Edera ed eviti di esporla quando si tratta di ferirla.

Come diceva Croce: "La conclusione è che la soluzione dei problemi della convivenza sociale hanno sempre un residuo di imprevedibilità e ciascuno che intenda al bene deve saper deporre l’arroganza dei modi, esclusivi delle soluzioni, e osservare l’umiltà dinnanzi alle vie che la storia viene, come da se, aprendo".